La politica non c’entra niente

Una lettura di Prossima Fermata. Una storia per Renato,  graphic novel di Zero Calcare/Erre Push, Kairos, 2016 (pp. 79).

di CattiveMaestre

copertinaProssima fermata. Una storia per Renato è il graphic novel di Zerocalcare ed Erre Push pubblicato da Kairos per la campagna “Io non dimentico”, in occasione del decennale della morte di Renato Biagetti a opera di due giovani fascisti.

Il fumetto ha come protagonista un prof di storia, e questo ci basta a pensare che ci riguardi da vicino. Quel prof sta correndo a scuola, una scuola che potrebbe essere la nostra; è in ritardo a una riunione con un gruppo di madri, che potrebbero essere le madri dei nostri alunni, ed è sicuro di adempiere un normale dovere lavorativo, come potrebbe capitare a chiunque di noi. Nel vagone affollato incontra una vecchietta, una qualsiasi, la nostra vicina di casa, magari; di colpo la metro rallenta e, inspiegabilmente, arrivano le tenebre: i passeggeri si tramutano in struzzi, col sedere ben in alto e la testa china sullo schermo del loro smartphone. E allora la vecchietta, aprendosi il passo determinata tra i pavidi volatili, conduce il prof attraverso un viaggio che lo vedrà sempre più attonito e stupefatto.

È una Divina Commedia metropolitana, in cui la metro procede in direzione contraria, ovvero a ritroso, e a ogni fermata l’arzilla Virgilia mostra e narra un feroce episodio di violenza realmente successo a Roma, mentre accade lì sotto i loro occhi, oltre i finestrini del treno. L’anziana signora racconta di una città — una civiltà intera? — in cui si verificano pestaggi premeditati, omicidi, violenze di ogni sorta: xenofobe, omofobiche, identitarie. In una parola: illustrazioneviolenze di matrice fascista, come l’omicidio del giovane Renato Biagetti, cui la storia è dedicata, accoltellato per mano fascista a Focene, lido romano nei pressi di Fiumicino, dieci anni fa, la notte del 27 Agosto 2006.
Nell’Inferno urbano ci sono anche i fattacci di Tor Sapienza, quartiere della capitale dove nel 2014 una manifestazione xenofoba attacca un centro di accoglienza per migranti; c’è l’aggressione al ragazzo gay brutalmente malmenato perché guarisse dalla sua “malattia”, a seguito di uno dei famigerati “corsi riparativi”; ci sono i barconi della morte che solcano il Mediterraneo. La matita dal tratto distintivo dei fumettisti Zerocalcare ed Erre Push disegna episodi di un’attualità sconcertante, mentre i balloon parlano e denunciano, in una circolarità di significati che fa del fumetto un vero e proprio documento storico della nostra società.

Una favola metropolitana, in cui di “fantastico” purtroppo non c’è traccia, non nella ferocia degli episodi cui il prof è costretto ad assistere ad ogni stazione metro; frutto della fantasia degli autori è semmai il percorso a ritroso del treno stesso, un’esplorazione di un passato prossimo indispensabile per tutti, e ancor più urgente e imperativo per chi tra i banchi insegna. E magari insegna storia.

«Prof, ma tu la conoscevi la storia di Renato?», «Se ne parlava così tanto dieci anni fa?»
Sono queste le domande che gli alunni rivolgono al prof quando, di ritorno dalla discesa nell’Ade, arriva finalmente a scuola, visibilmente provato come i ragazzi, anche loro reduci da un viaggio nel passato recente: l’incontro con le Madri per Roma Città Aperta che da dieci anni raccontano la storia di Renato nelle classi, non solo perché non si dimentichi e non si perdoni, ma per fare chiarezza e smascherare la versione delle principali testate nazionali, che allora derubricarono un omicidio fascista a fatto di cronaca locale titolando “Rissa tra balordi” e “La politica non c’entra niente”.

Il protagonista del fumetto incarna perfettamente il prototipo del professore indifferente, che ha introiettato rassegnazione e paura del giudizio altrui (dei colleghi, del dirigente, dei genitori) e che per quieto vivere si guarda bene dal parlare di politica a scuola, come se occuparsi della propria condizione o prendere posizione contro le ingiustizie sociali fosse un comportamento scandaloso. Un docente come ce ne sono tanti, impauriti, occupati a farsi i fatti propri, quei docenti che la Buona Scuola — con i meccanismi di valutazione e merito, di competizione e di isolamento che introduce — premia e si auspica di formare. I “docenti contrastivi” del resto, così sono stati definiti dall’Associazione Nazionale Presidi qualche mese fa, struzzinon avranno vita facile, sempre più precari e ricattabili, impotenti, ma allo stesso tempo, e a loro volta, parte integrante di un’istituzione che ha il potere di formare nuove generazioni di ricattatati, di disciplinati, di indifferenti privi di spirito critico. Di piccoli struzzi interessati solo ai like sulle foto profilo.

Si tende sempre più verso una scuola politicamente asettica, non schierata, in cui è opportuno muoversi rispettando una presunta oggettività del sapere, in cui i docenti modello sono coloro che spiegano senza prendere posizione, e che accettano di valutare i ragazzi mediante test a crocette, classificandoli all’interno di categorie scientifiche universali e valide per tutti. Ma la neutralità, per chi si muove tra i banchi, è una macabra utopia.

La lezione di storia (e quella di letteratura, di filosofia, di arte) prevede l’approccio a violenze d’ogni genere. Facendosi lezione prova a prevenirle, spostando gli sguardi degli adulti di domani verso un’idea di inclusione dell’Altro, di diversità come ricchezza, ma può farlo solo se quelle violenze impara a differenziarle e a collocarle in un contesto specifico, all’interno di relazioni di potere ben definite, e non se ne livella e azzera le peculiarità, presumendo un’uniformità nelle motivazioni degli attori, scegliendo l’equidistanza.

torsapienzaCome si può allora trasmettere in classe l’antifascismo come valore irrinunciabile?
Forse non hanno più senso le recite di Natale e i temi contro il bullismo se non vengono contestualizzati al di fuori della porta dell’aula, se non si permette loro di volare oltre la finestra della lezione di storia, facendoli poi atterrare, sfracellare se necessario, sull’asfalto della strada del proprio quartiere.

Non ha senso spiegare il Colonialismo del capitolo 4 e del paragrafo 6 se non si portano in classe i fuochi nei cassonetti di Tor Sapienza; non si possono accettare di buon cuore i vicini gay e non inorridire di fronte al “banglatour” con cui i giovani della capitale vengono iniziati ai muscoli fascisti; non si può sbandierare “l’inclusione” come parola d’ordine della scuola di oggi e lasciar passare che si usi “frocio” come sinonimo di “brutto stronzo”; non si può mostrare stupore di fronte ai dati del femminicidio in Italia e pensare che i rom debbano essere segregati fuori dal GRA. Non basta proiettare i filmati dell’Istituto Luce e narrare la storia nobile dei partigiani per raccontare fascismo e antifascismo, se non si portano in classe le svastiche tatuate su braccia pronte a dare con odio otto coltellate a chi esce da una festa reggae.
La scuola, la didattica, l’insegnamento non possono accettare il ruolo ambiguo e pericoloso di chi si proclama neutrale, di chi decide di non scegliere e cerca un equilibrio ipocrita seduto in perfetta e matematica equidistanza. Questo libro, un viaggio all’Inferno per tutte noi, è servito a ricordarcelo.

vignetta finale

 

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