Le gioie dell’insegnamento centoseiesima

¡ADELANTE!

di Marika Marianello

Citriniti Francesco 2

Piccolo resoconto dell’annus horribilis di una precaria di periferia

(Introduzione al progetto Diario de cuarentena presentato con la classe IIC, rivisto per la Gioia)

Un 2020 che ci ha messo seriamente alla prova, sinceramente in crisi, rispetto alle nostre esistenze, alle nostre abitudini, alle nostre relazioni, ai nostri corpi segregati in casa e inchiodati davanti agli schermi; quei corpi che mai come in questi mesi si sono riscoperti fragili, vulnerabili, esposti al contagio, alla noia, all’inattività. Corpi d’insegnanti che uniti compongono il corpo docente, fatto di organi, idee, pulsioni, emozioni e che si è ritrovato disgregato, parcellizzato, frammentato in piccole unità divise le une dalle altre ma nel tentativo perenne di comunicare tra loro, di cooperare, nel mondo virtuale, nell’etere, nonostante le distanze, le difficoltà, le incomprensioni, le differenze, le tensioni, l’insonnia.

Mesi di DAD che ci hanno brutalmente messo di fronte ai nostri limiti e ai limiti di un linguaggio e di un insegnamento portati avanti in maniera spesso acritica, riproponendo modalità trasmissive, monologanti, escludenti: la chiusura delle scuole ha d’un tratto scoperchiato il vaso di Pandora rispetto a un sistema scolastico italiano trascurato per anni e lasciato a se stesso a giacere in strutture spesso fatiscenti, in spazi angusti e grigi.

L’etimologia del termine crisi deriva dal verbo greco krino, che significa “separare”, “cernere” e in senso più lato, “discernere”, “giudicare”, “valutare”. Nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa, implicando una situazione volta necessariamente a peggiorare. Alla luce di quanto sopra, però, sta all’individuo e alla collettività coglierne anche una sfumatura positiva: ogni momento di crisi è un momento di riflessione, di valutazione, di discernimento, e in quanto tale può trasformarsi nel presupposto necessario per una crescita personale e professionale, un miglioramento, una rinascita, un rifiorire prossimo. Inoltre, la radice sanscrita [kr] di crisi è la stessa di creatività, non a caso: questo è (stato e continuerà ad essere) il momento di essere creativi e di riappropriarci di spazi interdetti usando la nostra immaginazione; legare insieme parole e immagini e metterle in relazione, in movimento, verso un futuro da ricostruire.

Ha rappresentato, dunque, questo periodo, un’occasione per sperimentare una nuova dimensione relazionale dove il radicamento delle parole passa per un altro tipo d’esperienza.

La relazione educativa instaurata ad inizio anno con la scuola di periferia dove mi sono ritrovata a settembre non era stata immediatamente ottima con tutte le classe, com’è naturale, d’altronde; i ragazzi e le ragazze non avevano inizialmente risposto in maniera del tutto positiva alla nuova docente e alle aspettative della materia: la costruzione di un dialogo positivo, costruttivo e proficuo in un primo momento è stata faticosa. Gradualmente, però, i gruppi si erano dimostrati sempre più collaborativi, puntuali e costanti, quasi entusiasti, oserei dire, rispetto alle attività proposte, e la relazione ha cominciato a trasformarsi, consolidandosi poi, paradossalmente, proprio durante la DAD. Gli alunni e le alunne, sostenuti dalle proprie famiglie, coloro che hanno potuto, diciamolo, coloro che ce l’hanno fatta nonostante tutto, nonostante il grande sforzo loro richiesto dall’emergenza, sono stati puntuali con le consegne e sempre presenti alle video lezioni, dimostrando di essere all’altezza delle molteplici attività e competenze richieste dalla DAD, ovvero di aver acquisito in poco tempo una certa dimestichezza con i dispositivi tecnologici, le mail e la piattaforma d’istituto, grande costanza, maturità e persino una discreta autonomia nella gestione dei compiti e dei termini di scadenza. Nel grande fallimento che ha rappresentato la DAD, sono stati registrati degli importanti successi, malgrado la dispersione, le circostanze avverse e l’estraniamento iniziale, legittimo, derivato dalla modalità online e dal distanziamento. Anch’io, dal canto mio, ho imparato e affinato tantissime cose, un dettaglio non da poco, e sempre valido per chiunque riesca a fare di necessità virtù, proprio di chi nasce e cresce immersa nel disagio della periferia e si forma nella precarietà esistenziale. Le video lezioni in piattaforma, i carteggi, gli audio e i video hanno rappresentato un palliativo in grado di lenire la distanza e nondimeno occasioni di grande crescita per me, come individuo e come docente, e i compiti che da loro ho ricevuto sono stati motivo di grande soddisfazione e un forte incentivo a migliorarmi. E quindi mi interrogo ancora su quel che mi sono persa a non varcare la soglia della mia scuola durante questi quattro mesi e a quel che ho guadagnato con la fatidica DAD.

L’educazione all’affettività e alle emozioni è una pratica che passa anche attraverso la lettura, l’ascolto e la scrittura. Questo è stato l’obiettivo principale delle attività e dei compiti assegnati, un’esplorazione intima attraverso le azioni ripetute all’interno di una nuova cornice di quotidianità che permettesse di mettere a fuoco e di verbalizzare, nominandole, le emozioni provate: ansia, fame, noia, tristezza, incertezza, paura, speranza… D’altro canto, i ragazzi e le ragazze, così come i bambini e le bambine, sono coloro che meglio riescono a mettere in campo forme di adattamento sorprendenti, ridefinendo e ri–significando spazi e contesti in maniera del tutto innovativa: riescono a ricavarsi nicchie di sopravvivenza anche laddove si crede — spesso erroneamente — che non ci sia scampo; ed è per questo che anche durante l’isolamento, malgrado quel sentimento latente di nostalgia (extrañar vuol dire sentire la mancanza, sentire nostalgia, rimpiangere), riconoscibile in frasi come «Extraño mucho a mis amigos y amigas», «Extraño tanto a mis compañeros y compañeras de clase», «Extraño los detalles de cada amigo», «Extraño hablar y bromear con mis compañeros», «Extraño […] ser independiente», «Extraño tener libertad», addirittura «Extraño ir a la escuela», c’è chi è riuscito/a comunque a disfrutar (godersi, divertirsi, spassarsela): «[…] disfruto un rato jugando a la pelota», «[…] disfruto a mi familia», «me gusta quedarme en mi casa porque lo disfruto mucho». Ho notato, dopo una pur legittima euforia iniziale per questa insperata libertà, una forma di attaccamento, da parte di questi ragazzi e ragazze, a quello che era il loro spazio, il loro mondo, ovvero la scuola, la classe, il cortile, i loro compagni e le loro compagne, persino i professori. La loro risposta alla DAD ha rappresentato, a mio avviso, una forma di r–esistenza all’annullamento, alla polverizzazione, all’assenza: come tutti, vogliono esistere per sé e soprattutto per gli altri; ricercano e rivendicano un’identità e il riconoscimento da parte della società, un ruolo, uno statuto. La scuola è ciò che glielo conferisce: sono “socialmente” allievi, allieve, studenti e studentesse. Tuttavia, non mi sono illusa: molte e molti non hanno rimpianto la scuola, dicono che in modalità video si segue meglio e che ci sono vantaggi come la padronanza del tempo, le ore di sonno, i momenti trascorsi in famiglia, il gioco… mentre invece moltissimi altri vorrebbero tornare. Per tanti di loro — per quanto “torturante”, un “supplizio quotidiano” — la scuola era ed è il loro spazio, fuori di casa, oltre la famiglia, un mondo di azione e di riconoscimento autonomo, un’esperienza separata ma organizzata, con senso e significato ben definiti. Il luogo dove finalmente imboccano la via dell’emancipazione.

Ma cos’è un gruppo classe senza un luogo di vita e il lavoro comune? Continuo a chiedermi cosa sia un’esperienza educativa e un lavoro di apprendimento culturale senza gli scambi in corridoio e i corpi che si riversano fuori dalle aule, senza la ricreazione e il cortile, senza la vita segreta del sottobanco che produce brusio, imprevisti e continue interruzioni. Credo in una pedagogia attiva, e praticare l’empatia a distanza ha richiesto grande inventiva e creatività. Quattro mesi sono tanti, e si riempiono di eventi, esperienze e cambiamenti: altre abitudini, relazioni, modi hanno preso il posto della scuola in presenza. Ognuno di noi e ognuno di loro alla fine della quarantena avrà raccontato (e starà raccontando) la propria storia, la propria esperienza d’isolamento, di come e dove l’abbia vissuta, in quale casa, con chi, con quali sentimenti. E allo stesso modo ognuno di noi e ognuno di loro racconterà una diversa esperienza di scuola a distanza, ogni insegnante, ogni genitore, classe, ragazzino o ragazzina avrà ricordi e sensazioni differenti.

Mi è mancata molto la scuola, quella fisica, in questi mesi, mi sono mancati loro, soprattutto, gli e le studenti, (persino) le loro grida, i loro sguardi inquisitori, giudicanti, teneri, stanchi, curiosi: mi sono mancati nonostante le difficoltà che le relazioni naturalmente comportano. Sono molto orgogliosa di ciascuno di loro, cui auguro un avvenire libero, pieno di sogni realizzati con fantasia; auguro loro anni e anni di scuola democratica e divertente, in grado di educarli e istruirli con creatività e professionalità; auguro loro di diventare cittadine e cittadini liberi, consapevoli e responsabili.

E nondimeno li ringrazio per la pazienza e l’affetto dimostrati, per la high fidelity alle video lezioni, per le foto, i compiti e gli sbadigli a fauci spalancate.

Ringrazio le famiglie, che mi hanno saputo dimostrare solidarietà, appoggio e spirito di collaborazione.

Ringrazio il Preside, disponibile e aperto alle proposte e alle iniziative del corpo docente,  che ritengo abbia gestito quest’emergenza al meglio delle sue possibilità e risorse.

Ringrazio il Prof. di Tecnologia che — lavorando davvero anche di notte — ha reso possibile le video lezioni in piattaforma per l’intero plesso, scontrandosi con un analfabetismo digitale diffuso ed eretto a baluardo di una scuola Cuore fatta di griglie cartacee dentro il cassetto in alto a destra e i registri all’ingresso.

Ringrazio tutti i colleghi e le colleghe dell’IC Via Frignani di Roma con cui ho condiviso un anno certamente difficile, faticoso ed alienante, ma al contempo molto formativo e pieno di piccole grandi soddisfazioni.

La scuola pubblica salva, eccome, salva dalla famiglia, dalla strada, dal quartiere, dalle “cattive amicizie”, dai professori cattivi, dalle cattivemaestre e dalla scuola stessa.

¡Adelante!

mamme

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